Le feste simili

01-06-04

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Le feste simili

(Geom. Salvatore Giuseppe Savariso)

La Macchina di Santa Rosa a Viterbo

 

La parola macchina potrebbe far pensare  qualcosa che abbia un movimento meccanico e magari si sposti comandata da sofisticate apparecchiature. Ma non si pensa neanche lontanamente che la torre luminosa è trasportata a spalla da uomini robusti chiamati "Facchini".

 Si pensa che la festa abbia avuto inizio intorno al XIII secolo, il 4 settembre 1258 quando, sorretto da quattro cardinali e seguito dallo stesso Pontefice, il feretro della Santa fu traslato alla chiesa di San Damiano (oggi Monastero di S. Rosa)

 Per sentir parlare di Macchina, così come oggi la intendiamo, si deve risalire intorno alla metà del 1700.

 Notizie certe della macchina di Santa Rosa si hanno all'inizio del 1800 quando l'autorità Comunale dava incarico a gente borghese di disegnare ed eseguire una nuova costruzione.

 Sono circa 100 i Facchini che trasportano a spalla questa macchina del peso di 53 quintali distribuiti in un'altezza di 30 metri tra ferro, legno e cartapesta.Al fatidico comando di "sotto col ciuffo e fermi" la folla presente si ammutolisce e la città cade in un buio profondo: l'unico alone a risplendere è quello delle luci a fiamma della macchina che, all'ordine " per S. Rosa avanti"si avvia lungo il percorso.

Il Trasporto della Macchina di Santa Rosa avviene su un percorso di circa un chilometro che prevede cinque soste.

I Facchini di Santa Rosa sono il “motore” della Macchina. La riuscita del Trasporto è dovuta alla loro abilità e al loro sacrificio.

Riuniti da oltre venti anni in un Sodalizio nella cui sede è possibile ammirare i modellini della maggior parte delle Macchine trasportate, i Facchini si dividono in “Ciuffi”, (coloro che stanno sotto la Macchina e hanno sulla testa un cuscino-cappuccio per proteggersi dagli urti), “spallette” (quelli che sostengono la Macchina da uno dei lati), “stanghette” (di ausilio di trasportatori, e stanno al di fuori della Macchina) e “leve” (i venti che entrano in azione nell’ultima parte del percorso in aiuto alle file posteriori dei Facchini per distribuire equamente il peso della Macchina).

La giornata del 3 settembre per i Facchini, che indossano la tradizionale divisa (camicia bianca, pantaloni bianchi alla zuava, calzettoni, scarponcini neri con stringhe, fazzoletto bianco legato in testa “alla pirata” e fascia rossa in vita), rappresenta il momento più esaltante: dalla vestizione in casa, al “giro” delle chiese, dalla benedizione “in articulo mortis” fino alla conclusione del faticoso Trasporto con l’abbraccio dei parenti e l’ovazione della gente.

 

 

Il Carro di Mirabella  Eclano (Avellino)

 

La festa si celebra il  terzo sabato di settembre.

Secondo i pochi documenti dell'epoca, già dall'inizio del 1600 era consuetudine dei contadini di Mirabella Eclano (Campania) offrire alla Madonna Addolorata ed altri santi protettori una certa quantità del grano mietuto in ciascuna annata.

L'offerta, da devozione di singoli contadini, si organizzò più tardi a collettiva ed organizzata: il "dono" era trasportato su un solo carro ed il Carro stesso ne diventava simbolicamente l'espressione.

Nel 1869 un artista di Fontanarosa, Stanislao Martini progetta e compone un obelisco alto 25 metri con la facciata composta da paglia intrecciata.

La struttura completamente in legno secondo una tecnica semplice ma efficace che oltre a consentire al complesso l'indispensabile flessibilità, per il trasposto sul carro trainato da buoi, ne permette lo smontaggio e la conservazione.

 

 

I ceri di Gubbio (Perugina)

 

Ogni anno, il 15 maggio, si celebra a Gubbio (Umbria) la festa dei Ceri:tre macchine, formate da prismi ottagonali appuntiti alle estremità, sovrapposti e attraversati da un'asse; confitti ed incavigliati al centro di una tavola, chiamata "barella", a cui stanno fissate delle antenne trasversali, a guisa di un'acca maiuscola, che si posano sulle spalle dei ceraioli.

Questa la descrizione arida e fredda. Ma quei Ceri portati da uomini forti, quasi invasi da umano e sacro furore, corrono come in un volo agile e potente.

Orgiastica e impressionante corsa, per ampie strade e piazze monumentali, per discese paurose ed ardue salite, simbolo di forza e di fede.

L'origine è oscura: rievocazione ancestrale della festa pagana in onore di Cerere? Ricordo trionfale del Carroccio che vide intorno a sé il valore e le vittorie di questa gente forte? Trasformazione simbolica di un'offerta di cera, un omaggio luminoso e ardente al Protettore tanto amato e invocato?...

 ...festa del sangue di un popolo, forte e lieto; patrimonio e tradizione di elementi umani e spirituali, sacri e profani, fondo e vicenda indistruttibile di un popolo "dalle molte vite"

La festa è  tra le più antiche, se non in assoluto la più remota, manifestazione folkloristica italiana. 

La sua nascita è tutt'ora oscura e basti ricordare che esistono due ipotesi fondamentali: una religiosa e l'altra pagana.

La prima, configura la Festa come solenne atto devozionale degli eugubini al loro Vescovo Ubaldo Baldassini, a partire dal maggio 1160 anno della Sua morte. Da allora, ogni 15 maggio, giorno della vigilia del lutto, l'offerta devozionale al Santo Patrono divenne un appuntamento fisso per il popolo eugubino, che avrebbe partecipato, in mistica processione, ad una grande "Luminaria" di candelotti di cera, percorrendo le vie della città fino al Monte Ingino.  I candelotti di cera, offerti dalle corporazioni di Arti e Mestieri, probabilmente divennero nel tempo tanto consistenti da renderne difficoltoso il trasporto e vennero sostituiti verso la fine del '500 con tre strutture in legno, agili e moderne, che - più volte ricostruite - sono, nella loro forma originaria, arrivate fino ai nostri giorni. Sono rimasti invariati nel tempo anche la data ed il percorso della festa.  La seconda ipotesi, più indiziaria e ipotetica, propende per la rievocazione ancestrale della festa pagana in onore di Cerere, dea delle messi, arrivando a noi attraverso le glorie comunali e le signorie rinascimentali, il dominio pontificio e le lotte risorgimentali.

 

 

 

Il Carro di Ponticelli, Napoli

 

Il Palanchino Shinto di Morioka, Giappone

 

La festa della divinità Shinto si svolge  il 15 luglio. Ogni anno si cambiano i portatori che, per arrivare al tempio della divinità, devono scalare otto piccole colline con una pendenza di 30° trasportando a spalla il palanchino del peso di circa 850 kg.

 

 

la Rua di Vicenza

 

Nella tradizione storica vicentina, un posto di riguardo spetta ad una particolarissima macchina in legno, chiamata la Rua, che veniva trasportata a braccia in processione durante le feste popolari della città. Era il simbolo dell’orgoglio popolare vicentino, e si narra che fosse il ricordo di una ruota tolta al Carroccio di Padova dai vicentini durante una battaglia medioevale. In realtà la Rua era l’insegna dei Notai usata nelle processioni della festa del Corpus Domini, istituita nel 1264 dal Papa Urbano IV.

Il collegio dei Notai era all’epoca molto ricco e potente e poteva perciò permettersi l’insegna più sfarzosa. Dopo il 1616 la Rua passò a rappresentare tutto il popolo e l’emblema stesso della festa, divenendo un avvenimento a se stante. A partire dal 700 però, il clero, ritenendo che distraesse troppo la gente dalle funzioni religiose, suggerì di tenerla coperta e di farla apparire soltanto a celebrazione conclusa.

Nonostante le sue dimensioni ed il suo peso, la struttura veniva trascinata con grande abilità attraverso le vie di Vicenza: dalla Piazzetta Palladio, dove veniva montata, proseguiva per contrà Muschieria fino alla residenza vescovile in Piazza Duomo, dove sostava per la benedizione. Proseguiva poi per Piazza Castello e, attraverso Corso Palladio, raggiungeva contrà Santa Barbara, entrava in Piazza dei Signori e ritornava al luogo di partenza, in Piazzetta Palladio, denominata un tempo proprio "piazzetta della Rua".

Per protestare contro il dominio austriaco la rappresentazione fu sospesa nel 1858, e dieci anni dopo ci fu un’altra apparizione, l’ultima in occasione del Corpus Domini. Nel 1880 fu allestita per il 12 settembre, in occasione del terzo centenario del Palladio. Quando però, nel passaggio al nuovo secolo, le vie della città cominciarono ad essere attraversate dai fili della luce elettrica, le dimensioni della Rua dovettero essere ridotte per consentirne il passaggio, e successivamente lo spettacolo si tenne solo in Piazza dei Signori. Nel 1928, in occasione delle celebrazioni del quinto centenario delle apparizioni della Madonna di Monte Berico, festa di precetto cittadina, la Rua fu fatta uscire per tre volte. Nel 1944, durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, la Rua andò completamente distrutta.

 

I Candelieri di Sassari

 

 La festa dei Candelieri si celebra a Sassari la vigilia di Ferragosto e risale, probabilmente, alla dominazione pisana del XIII secolo.

 Intorno al 1500 la festa assunse un carattere votivo quando fu ripresa, o rinnovata con particolare solennità, per ringraziare la Vergine della protezione accordata alla città in occasione di terribili pestilenze cessate alla vigilia della festa della Madonna di Mesausthu (Madonna di Mezzagosto).

 Protagonisti della festa sono i Gremi (in spagnolo adunanza, associazione, a carattere religioso) con i quali si indicano in età catalano-aragonese  le associazioni di mestiere.

 Ogni gremio è rappresentato da un "candeliere", colonna in legno alta tra i 4 ed i 5 metri, composta dal piedistallo, dal fusto ed dal capitello.

 

 

 

Il Giglio di Recale (CE)

 

La festa di Giugno dedicata a S. Antimo ha la particolarità di chiamarsi "Festa del Giglio". Essa è nata all' incirca nel 1880. 

L' origine di questa imponente costruzione si fa risalire all' usanza dei primi cristiani di cospargere di fiori e particolarmente di gigli la strada che dovevea percorrere un loro trionfatore nel ritornare da una missione o dall'esilio. Poichè anche il suddetto Santo si trovò in questa circostanza, quando fece ritorno dall' Asia a Roma, indubbiamente la strada che dovette fare fu coperta di gigli da tutti i suoi seguaci. Questa usanza di cospargere fiori incominciò a ripetersi nel solennizzare l' annuale del glorioso ritorno; però a poco a poco fu abolita e i fedeli, nell' ora saputa del giorno del trionfo, si recavano al luogo dello sbarco con aste recanti, alla loro estremità, dei gigli. Col passare del tempo anche questa usanza fu abolita e si inizio a costruire una macchina in legno, sulla quale i fedeli ricordavano di aver collocato il Santo, durante il ritorno predetto. Questa macchina è stata sempre più perfezionata ,per cui oggi ha assunto la definitiva forma piramidale a base quadrata, di lato mt. 3,50 e di altezza mt. 27. Il nome "Giglio" attribuito a questa imponente costruzione non corrisponde, alla sua forma e alla sua apparenza.Oggi la veste di questa costruzione ha raggiunto perfezioni artistiche mirabili. Trattasi di lavoro eseguito su forma di legno e carta pressata, rappresentante tutti gli stili architettonici, storia dell'arte, plastica e pittura. Il Giglio viene rinnovato ogni quattro anni e, quindi, vengono rinnovati il soggetto e lo stile. All'altezza di mt. 3,00, su apposita base del Giglio, viene collocata la statua del Santo, nella domenica della sua festa. Di preciso non si sa come e quando il Giglio sia stato introdotto a Recale. I nostri anziani dicono che da principio lo preparava un nostro compaesano chiamato Mastu Titto, ossia il sarto Giovanni Battista. Dopo Mastu Titto il Giglio fu costruito dal signor Francesco Grauso da Puccianiello (1887). Dal 1946 il Giglio fu costruito dalla ditta Tudisco da Nola. Esso viene portato a spalla dai giovani di Recale alla cadenza di una caratteristica Tarantella composta dal maestro Luigi Salzano. Fino ad alcuni anni fa parecchi forestieri venivano il sabato a legare il fazzoletto alle sbarre per prenotarsi il posto. Secondo la consuetudine verso le otto di sera si va a prendere la statua di S. Antimo alla Torre e processionalmente viene portata alla Chiesa Parrocchiale, sopra una artistica barca con fiori.

 

 

I Candelori di Catania

 

L'origine di queste complesse e fantasmagoriche macchine barocche è antichissimo, almeno in quello che è il loro significato primigenio, legato come sembra alle falloforie dei mondo greco, un'usanza durata nel popolo fino alle soglie dell'età moderna. Sull'epoca in cui il rito più antico venne imbrigliato però nelle nuove usanze cattoliche sono diverse le interpretazioni

 Il 2 febbraio, fosse stata istituita da papa Gelosia I in sostituzione di una cerimonia pagana nella quale si portavano in giro granditorce; altri invece la fanno risalire al 687, al pontificato di Sergio 1 e altri ancora al Vi secolo dopo Cristo... certo è che l'uso di dipingere i ceri e di adornarli con immagini sacre è antichissimo nella Chiesa, e veniva osservato - ci racconta Lanzafame - già nel IX secolo.

 

La vera storia delle Canderole, così come sono oggi, è una storia che data grosso modo dalla fine del XV secolo. Nei primi anni dei Cinquecento erano ben 22 - undici in più delle attuali - e la loro sfilata era ordinata da Liber cerimoniarum. Nel Seicento il numero di questi monumenti mobili raggiunse le 28 unità. Di essi alcune superavano in altezza le cime dei palazzi, in una sontuosità e una ricchezza che raggiunsero l'apice nel Settecento. Ma alla fine dei secolo scorso già il numero delle Candelore si era quasi dimezzato, per diminuire ancora agli inizi di questo - I 3 - ed arrivare alle undici di oggi.

Portate a spalla dai fedeli in una caratteristica danza detta " annacata ", le Canderole sfilano per le strade della città in un ordine preciso, precedendo la più importante vara. Queila di Mons. Ventimiglia, la più piccola, apri il corteo. Seguono quindi quella dei Rinoti, cioè degli abitanti di S. Giuseppe la Rena, quella degli Ortofioricuitori, dei Pescivendoli, dei Fruttivendoli, dei Macellai, dei Pastai, dei Pizzicagnoli, dei Bettolieri, dei Panettieri e, infine quella dei Circolo cittadino di S. Agata, voluta nel 1 876 dal beato Cardinale Dusmet.

Tutte hanno subìto nei tempo rovine, danni, distruzioni, a volte radicali cambiamenti. Ma tutte sono ancora li, nuove , restaurate, pronte per un anno intero, nelle sedi delle confraternita e nelle loro chiese, per la loro "uscita" girare i quartieri, per incuriosire i bambini e commuovere anzi accendere di passione religiosa e campanilistica i fedeli e gli appartenenti alle corporazioni.

 

I Trunu di Barrafranca (Enna)

 

  La macchina processionale del cosiddetto " Trunu " è composta da diverse parti. Quella centrale e fondamentale che contiene i meccanismi che consentono di far sollevare l'asta centrale e in cui vengono inserite " le baiarde ", viene chiamata " firruzzu ", struttura parallelepipeda formata da travi di legno. Al centro di essa s'innalza una grossa asta di forma quadrilatera di cui ogni lato è cm. 20 anch'essa di legno, e alta circa due metri. Ai quattro angoli dei " firruzzu " sono inserite altrettante piccole aste di metallo che portano in cima delle lanterne, a ricordo delle numerose lanterne che accompagnavano una antica processione. L'asta sostiene in cima una grande sfera di circa un metro di diametro.

Essa è costruita in lamiera di colore azzurro, sulla quale si notano delle piccole aperture rotonde, chiuse da vetri colorati. Un tempo dentro il globo, che rappresenta il mondo e che viene denominato "umunnu ", venivano collocate delle lucerne, che facevano trasparire la luce attraverso i vetri.  

Sopra questo globo viene inserita "la spera", cioè la raggiera e la grande quantità di " scocche " svolazzanti, che la ricoprono interamente, come una nuvola variopinta, da tutte le parti, lasciando appena intravedere il Crocifisso egli innumerevoli ex-voto di oro che lo ricoprono e che mandano barbaglii luminosi sotto la luce intensa dei riflettori.

Tutto il congegno o la macchina processionale viene portato a spalla tramite due grosse e lunghe travi di legno che vengono chiamate in vernacolo barrese " baiarde ". Esse hanno gli spigoli smussati e per la loro larghezza consentono ai portatori di disporsi in doppia fila, una esterna e l'altra interna. La " Giunta " è una rievocazione drammatizzato del periodo che va dalla settimana di passione all'incontro di Cristo e della Vergine dopo l'Anastasia del Redentore. Essa viene effettuata in termini teatrali, attraverso le strade e le piazze della

cittadina, facendo uso di "Apostoli": opere plastico/figurative di artigianato popolare, sorretti da uomini nascosti sotto il manto delle sacre figure. Si conclude con l'incontro di Gesù e Maria.

 

 

La Vara dell'Assunta di Messina

Ogni anno il 15 agosto si celebra la festa della Vara in onore di Maria SS. Assunta.Una macchina singolare ed alta sino ai secondi piani dei palazzi, poggia a terra su due grossi sci metallici; da questi partono i sostegni di una piattaforma circolare. Sulla base quattro grossi tronchi di colore argenteo si spingono in alto per unirsi sopra in un corpo unico, che, innalzandosi, diviene sempre più sottile. Numerosi angeli (una volta costituiti da bambini ed oggi da fantocci) sono distribuiti su tutta la macchina; in cima a questa è la Vergine, sorretta con la mano destra dal Cristo. Alla base della Vara sono unite, poco sopra gli sci, due grosse travi con sei ordini di sostegni, tre da un lato e tre dall'altro, su cui agiscono degli uomini robusti per far scivolare o frenare la Vara. Fra i quattro tronchi è posta, durante la processione una bara con il corpo di Maria Vergine (l'anima di Maria, assunta in cielo, è rappresentata dalla figura sorretta dal Cristo). Sul tronco, per mezzo di un perno che li fa girare, sono il sole e la luna, l'uno dorato e l'altra argentata; a questi sono legate altre figure di angeli, che, per quanto i due astri ruotino su se stessi, rimangono sempre ritte. La prima macchina fu costruita nel 1535 dall'architetto Radese, ma venne rinnovata nel corso dei secoli. Gli angeli e l'anima della Madonna erano rappresentati da bimbi, il che rendeva la processione emozionante anche per il pericolo di cadere che i bambini correvano costantemente. La processione attualmente parte dalla piazza Filippo Juvara, percorre la via Garibaldi, imbocca la via I Settembre e giunge sino a piazza Duomo. Tutto il percorso, per diminuire l'attrito, viene preparato da autobotti innaffiatrici. Alla folla numerosa (oltre 100.000 fra messinesi e forestieri) fanno riscontro fitte schiere di donne e di uomini, spesso scalzi per voto o per devozione, che, aggrappati a lunghe corde, trainano la macchina.

 

 

La Vara di Randazzo (Catania)

 

Dedicata all'Assunta, è una suggestiva tradizione che dal 1500 è giunta fino ad oggi. la storia non lo afferma con sicurezza ma, da scritti dell'epoca, da leggende e dalla memoria popolare, si fa risalire l'istituzione della festa alla baronessa Giovannella De Quatris. Sotto il suo patrocinio bravissimi artisti, artefici realizzarono il "Carro Trionfale" detto nel gergo popolare " 'A Vara " la stesso nobile Giovannella, si dice abbia lasciato l'incarico alla Chiesa di S. Maria, oggi Basilica Pontificia, di tramandare ai posteri la manifestazione, dotandola all'uopo anche di mezzi finanziari, oggi sostenuta dalle amministrazioni comunali e dai cittadini. "'A Vara " viene allestita non perdendo nulla della originaria magnificenza e dei simbolismo primitivo. Il sostegno centrale, un grosso tronco dei diametro di 40 cm., non è fisso, ma compie un movimento rotatorio continuo, che ha per immediata conseguenza la rotazione di tutto l'apparato, comprese le persone e le due grandi ruote già per se stessa mobili in altro senso. Dalla base al vertice dell'enorme " simbolo " si inseguono centinaia di figurine ornamentali in rilievo, nuvole d'argento, specchi a profusione delle dimensioni più svariate, una miriade di scaglie d'oro, argento, smeraldo, arancio, zaffiro..   Il brillìo gioioso di tanta ricca veste, i barbagli vivissimi che gli specchi lanciano colpiti dai raggi solari bastano da soli a  sottolineare l'apoteosi della Vergine che accede al Trono dell'Eterno. Il carro base ha un' area di 1 8 mq. e ospita oltre al tronco centrale, un altarino con la reliquia della Madonna. Attorno all'ara trovano posto sacerdoti e chierici. Il complesso misura da terra al sommo vertice quasi venti metri.

 

 

 

 

Il Carro di Terlizzi (Bari)

 

All’inizio del XI secolo a Sovereto, luogo che dista tre chilometri da Terlizzi, fu rinvenuta un’icona – di probabile manifattura bizantina – raffigurante la Vergine col Bambino, detta appunto Madonna di Sovereto.  - Dal tempo del ritrovamento dell’icona la Madonna di Sovereto divenne difatto, con S. Michele, Patrona della Città.  - Il 16 aprile di ogni anno la sacra immagine è esposta in Cattedrale; il 23 dello stesso mese è portata a spalla al Santuario di Sovereto – costruito nel XVII secolo, ampliando e trasformando l’antica struttura chiesastica di epoca romanica costruita sul luogo del ritovamento dell’icona .  - L’immagine sacra, portata in processione, avanza lentamente lungo la strada, quasi a voler mostrare il suo compiacimento per la fertilità dei campi coltivati ad ulivi, mandorli e viti. La "manifestazione" assume tutti icaratteri di una sagra primaverile.  - Sembra questo il giorno che gli antichi dedicavano al culto di Demetra.  - Il primo sabato del mese di agosto – prima era di maggio – l’immagine della Vergine è portata in città sul simbolico carro trainato da buoi: la processione del ritorno è ancora più lenta dell’andata perché per i fedeli il riavere la vergine nella civitas è come il riaffermare il possesso di un bene affettuosamente agognato e del quale si è sentito a lungo la mancanza.  - Il giorno dopo, la domenica mattina, si tiene la celebrazione solenne della Festa Maggiore: la Vergine posta con S. Michele sul " Carro Trionfale ", fa il " giro " della città, su un percorso di circa due chilometri, impiegando un tempo fra le quattro e le cinque ore.

IL CARRO TRIONFALE – DESCRIZIONE DELLA “MACCHINA"

L’assenza di documenti iconografici non consente di conoscere gli aspetti tecnici e stilistici degli organismi degli "Ingegni" ed " Apparati " precedenti ormai perduti.   - Pertanto questa scheda descrive il carro attuale che riecheggià quello che un tempo fu.   -La " macchina ", poggiata su una base di metri 6,60X13,00, alta 22 metri, si può definire un ostensorio mobile su ruote.   - Per dimensioni e forma è comparabile ad un campanile, trainato da sessanta uomini e condotta da quattro timonieri, cui sovrintende un " Maestro di guida ". La struttura portante, o scheletro, è costituita in massima parte da legno di abete con alcune parti in legno di quercia e rovere. La forma tridimensionale è rivestita con decorazioni ispirate a motivi stilistici rinascimentali e barocchi interpetrati in chiave neoclassica.  - La composizione scenografica, ottenuta tramite l’uso di tela intelaiata variamente decorata e cartapesta, si sviluppa su cinque piani o livelli:  Il primo ospita i sessanta uomini addetti al traino.  Il secondo, detto piano della " Carretta " o " Carpento " , insieme al " Traino " forma la base della " Macchina ".   Il terzo è il piano del " Trono " detto anche " Cappella " della Vergine.  Il quarto è il piano di " Lanterna " dei " Teleri ".   Il quinto è costituito da una cupola

L’ultimo carro tradizionale che risaliva all’edizione del 1868, nel cuore della notte, a cavallo tra il 21 e 22 agosto 1991, fu distrutto da un incendio doloso. Nel 1992, a seguito di sottoscrizione popolare, la " Macchina " fu ricostruita.

 

Posizionamento GIGLIO 2001

Il Giglio di Villanova Del Battista (AV)

Fin dall'antichità la sera del 27 Agosto si trasportava presso il Ponte «il giglio» preparato a suo tempo in località Demanio (a lu chiano r'lu Rumanio). Il giglio era costituito da una autentica costruzione architettonica a forma di guglia, messa su con paglia dalla paziente abilità di alcuni esperti contadini.

Per il trasporto del giglio dal Demanio al Ponte venivano utilizzati dei buoi ma per farlo rimanere in equilibrio erano addette delle persone esperte che al comando di un capo dalla voce possente ( un vero timoniere) regolavano le funi: L'incarico alla fune era ritenuto un grandissimo privilegio: ci si vantava « ann 'ncap'a n'at'» del delicato ruolo svolto attorno al giglio... insomma l'eco della festa durava mesi e mesi.

 Ancora oggi il 27 agosto si può ammirare il Giglio che ogni anno puntualmente viene offerto, sempre rinnovato nelle forme e nei disegni, ai numerosissimi turisti ed emigranti i quali con solerte passione si aggrappano alle funi per «tirare» il Giglio.

 

 

Il Giglio di Flumeri (AV)

Imponente e maestoso il Giglio di Flumeri è pronto per essere donato quale segno di devozione a San Rocco. Il giorno 15 di agosto accompagnato da una marea di fedeli, che verranno a Flumeri da ogni dove, sarà trasportato fin sotto la Chiesa, del Santo e lì sosterà per alcune settimane. In questo periodo saranno ancora tante persone che guarderanno con ammirazione quella che senza esagerazione può essere definita una vera opera d'arte realizzata con spighe di grano duro.

È unico il Giglio di Flumeri. Ogni anno assume una forma diversa perché progettato e costruito ex novo utilizzando sempre le spighe di grano le migliori, le più pregiate. Niente pannelli di paglia né cartapesta conservati e poi assemblati. I flumeresi no potevano non potevano e no possono non donare la cosa più cara, più preziosa che essi posseggono: il grano quello duro. Lassù in cima a trenta metri d'altezza campeggia la foto dio San Rocco mentre al primo piano è stato posizionato un quadro del Santo che riproduce la statua posizionata nella Chiesa costruita in Suo onore.

Dal luogo di costruzione, periferia del paese in località Campo del Comune, ormai ribattezzata "Campo del Giglio", in un tripudio di gioia, canti e suoni viene trasportato al centro del paese e lì sarà posizionato come si diceva proprio vicino la Chiesa del Santo. Nel corso del tempo la struttura lignea del Giglio di Flumeri ha subito delle modifiche. Anticamente veniva rivestito un albero di ciliegio scelto tra i più belli esistenti nelle campagne di Flumeri.

Era un grande onore poter offrire questo albero di frutto che sarebbe stato utilizzato per l'occasione. Nel corso del tempo si è pensato di realizzare una struttura ad hoc e già si è deciso che il prossimo anno anche l'attuale sarà modificata immaginando una ancora più grande e maestosa senza intaccare le caratteristiche di quella attuale.

 

 

Il Carro di Fontanarosa (AV)

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 01-06-04