Eno-gastronomia

01-06-04

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 LA TRADIZIONE ENO - GASTRONOMICA

 

L’Asprino D’Aversa

(estratto da sito internet)

 

Dal Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, di Lorenzo Giustiniani  del  1797-1816, si evince che Crispano era luogo di vini asprini; questo  vitigno  Doc della campana, venne importato dalla Francia da Roberto D'Angiò nel Medioevo per farlo impiantare nelle terre aversane.

Il sovrano del regno di Napoli voleva produrre uno spumante da servire a corte al posto dello Champagne che a quei tempi era difficile da trasportare.

Oggi l'Asprinio può fregiarsi della Doc nelle versioni Spumante e Tranquillo, ha un colore giallo paglierino con leggeri riflessi verdolini e in bocca si distingue per il gusto spiccatamente aspro.

La zona di  produzione è   Aversa,  provincia di Napoli e Caserta.  La gradazione alcolica è di  11 GRADI.  Il colore è   paglierino più o meno carico. Il profumo è intenso, fruttato caratteristico.  Il sapore è  fresco, secco. La   temperatura di servizio è   8-10 °C. L’età ottimale è  12-18 mesi.

 Gli  Accostamenti sono:  insalate di mare, pesce, pizza,  ottimo come aperitivo  Tipo di vino:  Tranquillo da pasto

 

 

La Pizza

(estratto da sito internet)

 

Dai vicoli di Napoli presto la pizza conquistò la Corte Reale. Secondo certi aneddoti, nonostante le notizie che abbiamo sono veramente contrarie, Ferdinando IV, Re di Napoli, spesso frequentava le pizzerie della città, anche se questo significava trasgredire all'etichetta di corte. Sua moglie, la Regina Maria Carolina d'Asburgo Lorena, molto golosa di pizze, fece costruire un forno speciale nel Palazzo Reale di Capodimonte, per cucinare e servire pizze agli ospiti. Verso il 1830, un altro re di Napoli, Ferdinando II, invitò a corte per una festa il pizzaiolo Domenico Testa, proprietario di un negozio, incaricandolo di preparare le sue famose pizze. Col successo Testa ottenne il titolo molto ambito di "monzù", cioè "monsieur", che era attribuito solo alle persone rispettabili. Secondo le cronache del tempo, possiamo sorprendere Alessandro Dumas mentre cita la pizza nelle pagine che scrisse nel 1835 mentre viaggiava: "La pizza ha una forma circolare ed è ottenuta lavorando la stessa pasta del pane".

E ancora: "La pizza può essere condita con olio, grasso di maiale, formaggio, pomodoro, piccoli pesci". Verso la metà del 19° secolo nell'opera di De Boucard "Usi e costumi di Napoli", la pizza appariva come una delle specialità napoletane più popolari, elaborata in differenti varietà: con aglio e olio, con formaggio grattugiato e basilico, con pesce e, per lo meno, con mozzarella.

 E' da ricordare, tuttavia, il famosissimo episodio della nascita della pizza Margherita, anche se già esisteva, chiamata in modi diversi, precedentemente. Nel 1889, Umberto I, Re d'Italia, e la Regina Margherita di Savoia, in vacanza a Napoli, invitarono a palazzo il più popolare dei  pizzaioli, chiamato Raffaele Esposito, per gustare le sue specialità.

Il cuoco preparò tre tipi di pizza: una con grasso di maiale, formaggio e basilico, una con aglio, olio e pomodori e un'altra con mozzarella, basilico e pomodori, onde onorare la bandiera italiana. Alla regina piacque così tanto quest'ultimo tipo di pizza che inviò al pizzaiolo una lettera per ringraziarlo: "Vi assicuro che le tre pizze che avete preparato erano davvero squisite". Raffaele Esposito dedicò la sua specialità alla regina e così questo è il modo in cui nacque la pizza Margherita.

 

La leggenda del ragù

(estratto da sito internet)

 

La leggenda legata al famoso ragù napoletano, decantato anche dal grande de Filippo in una sua poesia dal titolo appunto 'o rrau'.

A Napoli alla fine del 1300 esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia che percorreva la citta' a piedi invocando "misericordia e pace".

La compagnia giunse  presso il "Palazzo dell'Imperatore" tuttora esistente in via Tribunali, che fu dimora di Carlo, imperatore di Costantinopoli e di Maria di Valois figlia di re Carlo d'Angio'.All'epoca il palazzo era abitato da un signore che era nemico di tutti, tanto scortese quanto crudele e, che tutti cercavano di evitare. La predicazione della compagnia convinse la popolazione a rappacificarsi con i propri nemici, ma solo il nobile che risiedeva nel "Palazzo dell'Imperatore" decise di non accettare l'invito dei bianchi nutrendo da sempre antichi e tenaci rancori. Non cedette neanche quando il figliolo di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce ed incrociandole grido' tre volte: "Misericordia e pace".

Il nobile era accecato dall'ira, serbava rancore e vendetta, ed un giorno la sua donna, per intenerirlo gli preparo' un piatto di maccheroni. La provvidenza riempi' il piatto di una salsa piena di sangue. Finalmente commosso dal prodigio, l'ostinato signore, si riappacificò  con i suoi nemici  e vesti' il bianco saio della Compagnia.

Sua moglie in seguito all'inaspettata decisione, preparo' di nuovo i maccheroni, che anche quella volta come per magia divennero rossi. Ma quel misterioso intingolo aveva uno strano ed invitante profumo, molto buono ed il Signore nell'assaggiarla trovo' che era veramente buona e saporita.

La chiamo' cosi' "raù" lo stesso nome del suo bambino.

 

 

La tradizione dei dolci natalizi a Napoli

(estratto da sito internet)

 

Le Zeppole

Tipiche della costiera sorrentina, sono ciambelline fritte preparate con una pasta a base di farina acqua latte ed anice, e condite con miele, diavulilli (per chi non lo sapesse sono i confettini piccini e coloratissimi che ci riportano alla mente le decorazioni dei nostri alberelli di natale) e scorzette d'arancia.

Tra i mestieri napoletani esisteva anche quello della zeppollara che in strada friggeva queste ciambelle in strutto o grasso animale e le serviva ricoperte di miele.

Gli Struffoli

Questo è un tipico dolce natalizio, la cui forma  è a base di sfere ricoperte di miele e dai multicolorati diavulilli.

L’origine degli struffoli è greca: il  nome, deriva da strongulos, cioè pasta a forma sferica, arrotondata o incavata; anche questa preparazione è consolidata nella tradizione pasticciera napoletana, splendide  erano le confezioni ad opera delle Monache dei conventi della Croce di Lucca e di quelle di S. Maria dello Splendore.

 

Le Paste di mandorle o Pasta reale

Sono altri dolcetti che trovano la loro origine nei conventi napoletani, dai delicati colori pastello che vanno dal rosa, al verde al giallino, preparati con mucchietti di paste di mandorle sistemati su di un ostia tagliata che serve da base e dalle forme piu' svariate.

Dolci della vigilia di natale, le suore li preparavano rispettando la dieta di magro perche' erano preparati con farina zucchero, spezie e mandorle finemente tritate e non era utilizzato alcun grasso animale, essendo il loro condimento ottenuto esclusivamente dall'olio premuto dalle stesse mandorle.

L'origine del nome pasta reale pare risalga all'epoca di Re Ferdinando IV.

Si racconta che il Re si recò un pomeriggio in visita al convento delle suore di San Gregorio Armeno e, dopo aver visitato la cappella ed il convento, fu accompagnato dalle sorelle nel refettorio, ove su un grande tavolo era preparato un buffet in cui facevano bella mostra di se aragoste, pesci arrostiti, polli e fagiani oltre a della splendida frutta.

Il Re era un gran mangiatore ma si scusò dicendo che da poco aveva finito di pranzare e non sarebbe stato il caso riaffrontare un pasto del genere. Ma le suorine con sguardi di complicità pregarono Re Ferdinando di degnarsi di un assaggio,  quale fu la sorpresa del sovrano quando si accorse che tutto quel Ben di Dio non erano altro che dolci efficientemente scolpiti con la pasta di mandorle e certosinamente dipinti a mano.

Questa tradizione di pasta reale è rimasta oggi soprattutto in Sicilia dove ci sono degli abilissimi artigiani di pasta martorana o reale.

I Mustacciuoli

Dalla forma romboidale ricoperti di glassa al cioccolato, il loro nome è legato alle antiche preparazioni contadine che utilizzavano il mosto, mustacea era infatti il loro nome  latino, col quale venivano preparati per essere resi più dolci.

I Susamielli

A forma di 'S' i Sosamielli venivano impastati con del miele liquido ed anticamente venivano distinti in sosamiello nobile, preparato con la farina bianca e v'era l'usanza di offrirlo alle persone di riguardo, il sosamiello per zampognari, impastato con farina ed elementi di scarto, che veniva offerto al personale di servizio ai contadini in visita e a coloro che venivano a suonare in casa, ed in ultimo il sosamiello del buon cammino imbottito con la marmellata di amarene e che veniva offerto ai soli religiosi.

Le Sapienze

Devono il loro nome al Convento di S.Maria della Sapienza, in cui venivano egregiamente preparate dalle Clarisse.

I Divinamore

A base di pan di Spagna ricoperto di colorata glassa rosa traggono il loro nome dalle Religiose dell'omonina comunità di clausura.

Il Roccocò

A forma di ciambella, adatto a chi ha denti solidi,  trae la sue origini invece dal francese rocaille per la barocca e rotondeggiante forma di conchiglia.

 

La legenda della Pastiera Napoletana

(estratto da sito internet)

 

L’origine della Pastiera è antichissima e proviene da culti pagani per celebrare l’arrivo della primavera.

La leggenda dice che la sirena Partenope aveva scelto come dimora il bellissimo golfo di Napoli e da lì cantava con voce melodiosa e dolcissima.

La gente allora per ringraziarla di questo meraviglioso canto le portò dei doni, sette doni per l’esattezza, come le sette meraviglie del mondo, ognuno dei quali aveva un significato: 

1) la farina, simbolo di ricchezza,

2) la ricotta, simbolo di abbondanza,

3) le uova, simbolo di riproduzione,

4) il grano cotto nel latte, simbolo della fusione del regno animale e di quello vegetale,

5) i fiori d’arancio, profumo della terra campana,

6) le spezie, omaggio di tutti i popoli

7) lo zucchero per acclamare la dolcezza del canto della sirena.

La sirena gradì i doni, ma nel raccoglierli li mescolò in un amalgama che le lasciò tra le mani la prima pastiera di cui fu l’inconsapevole autrice.

La pastiera è entrata poi nella tradizione cristiana diventando il dolce con cui festeggiare la Santa Pasqua.

Le suore  avevano una modalità di preparazione tutta - diciamo - particolare: si vociferava – voce di popolo, voce di Dio – che le monache lavorassero la pasta in maniera alquanto insolita: quelle che disponevano di natiche e fianchi più floridi, si sedevano sopra l’impasto che era stato messo sui sedili di marmo del loro chiostro e, sussurrando devote preghiere si dimenavano a lungo e ritmicamente permettendo così alla pasta di crescere rigogliosa.

 

Ultimo aggiornamento: 01-06-04