12) Catasto onciario

01-06-04

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  Il Catasto onciario di crispano (1754)

(a cura di Bruno D’Errico)

 

Con l’istituzione nel 1741 da parte di re Carlo di Borbone del cosiddetto “catasto onciario”, fu tentata l’introduzione nel Regno di Napoli di un più moderno sistema di tassazione della proprietà e dell’industria. Permanendo però privilegi e sperequazioni, in particolare i beni feudali non erano tassati, mentre i beni ecclesiastici pagavano la metà delle imposte stabilite, restando però esente da pesi il cosiddetto “patrimonio sacro”, il catasto onciario si rivelò un sostanziale fallimento, almeno dal punto di vista della modernizzazione del sistema fiscale del regno.

Tra le sacche di privilegio, ci fu l’esenzione per gli abitanti di Napoli e dei suoi casali dal pagamento della tassa catastale e quindi dall’obbligo di “formare” il catasto. In tutto il resto del regno le università ([1]) furono tenute ad una serie di adempimenti per l’istituzione del catasto e la ripartizione dell’imposta, che variava a seconda della specie di possessori di beni, i quali furono distinti nelle seguenti classi: 1) cittadini, vedove e vergini; 2) cittadini ecclesiastici; 3) chiese e luoghi pii del paese; 4) bonatenenti (ossia possessori di beni) non abitanti; 5) ecclesiastici bonatenenti; 6) chiese e luoghi pii forestieri.

Il catasto fu detto onciario perché per la valutazione dei beni da sottoporre a tassazione venne introdotta l’oncia ([2]), che era una antica moneta in uso nel Regno di Napoli fino all’epoca dei re aragonesi, ma non circolante più da alcuni secoli.

Tra le sperequazioni sancite dal nuovo sistema restava quella tra le persone che vivevano di rendita, alla maniera dei nobili, e quelle che esercitavano mestieri manuali: i primi venivano tassati per i soli beni, mentre i secondi erano tassati in base ad un reddito presuntivo assegnato a seconda del mestiere. Il capitale investito nel commercio era invece tassato prefissando un reddito sul 10% del capitale, quello investito nell’agricoltura sul 5% del capitale.

In particolare, poi, siccome dal reddito tassabile si potevano dedurre i pesi chiamati accidentali, ossia le spese di manutenzione e riparazione, i ricchi proprietari erano avvantaggiati, spesso anche con frodi o favoritismi, nelle deduzioni, non potendosi sempre accertare con sicurezza la reale consistenza delle suddette spese.

Per la formazione del catasto tutte le università del Regno, ad esclusione di Napoli e dei suoi casali, esenti dalla tassa catastale, furono tenute alla elezione di deputati ed estimatori incaricati della redazione degli atti preliminari al catasto e dell’apprezzo, ossia della valutazione dei beni.

I cittadini e tutti coloro che possedevano beni in un centro abitato erano invece tenuti alla redazione della rivela, una vera e propria autocertificazione nella quale, oltre a riportare tutti i componenti della famiglia con le relative professioni, venivano indicati i redditi e gli eventuali pesi deducibili ai fini del calcolo della base imponibile.

Al termine della raccolta delle rivele, sostituite da valutazioni dei deputati ed estimatori in caso di mancata dichiarazione, veniva steso il libro del catasto, nel quale era riportato il calcolo della tassa a carico di ciascun nucleo familiare.

Il catasto onciario di Crispano risale al 1754, ma i dati su cui si basa (le rivele) sono tutti del periodo luglio-agosto 1753.

Di seguito riporto la trascrizione di tutte le rivele interessanti gli abitanti del casale, fossero essi cittadini laici, donne, cittadini ecclesiastici e cittadini forestieri. La trascrizione è stata effettuata dalle rivele in quanto il catasto vero e proprio fornisce notizie più stringate di queste (per esempio, per le case tenute in fitto ci si limita a segnalare «vive in casa locanda», privandoci delle preziose informazioni sul numero dei vani tenuti in fitto, del luogo del paese dove si trovava la casa, dell’ammontare del fitto stesso). Altro fatto interessante da notare è che spesso nelle rivele i dichiaranti avevano omesso di segnalare beni, di solito capitali, che poi deputati ed estimatori segnalano nella documentazione degli atti preliminari al catasto. In questo caso ho riportato in parentesi quadra dopo il contenuto della rivela le valutazioni degli estimatori, così come il valore della rendita dei capitali che era sempre fissata dagli incaricati della redazione del catasto.

In qualche caso (pochi per la verità) ho riportato ancora tra parentesi quadra alcune dichiarazioni di cittadini (facilmente distinguibili perché in prima persona), particolarmente interessanti perché forniscono notizie sulla vita economica e sociale di questo centro.

Tra parentesi tonde, invece, alcune mie precisazioni, quando i periodi non sono chiari o i puntini ad indicare le parti non leggibili del documento.

Non ho trascritto tutto il catasto perché ho ritenuto più interessante concentrare l’attenzione su Crispano e sui suoi abitanti alla metà del ‘700, e da questo punto di vista il catasto onciario rappresenta un documento veramente eccezionale. Ho riportato però tutta la rivela del feudatario di Crispano, nonché i dati salienti di alcuni proprietari di beni in Crispano i cui nomi ricorrono per gli affitti di case e terreni agli abitanti del casale. Ancora qualche notizia dei benefici ecclesiastici, in particolare quando si riferiscono a cappelle ancora esistenti in Crispano, fornendo quindi qualche dato prezioso su di esse.

Non mi resta che lasciarvi alla lettura del Catasto, non prima di ricordare che, per una migliore comprensione dello stesso, occorre sapere che:

L’unità di misura dei terreni in uso all’epoca in Crispano era il moggio aversano che corrispondeva a circa 4259 mq. Il moggio si divideva in 10 quarte (1 quarta = 425,9 mq circa); una quarta era pari a 9 none (1 nona = 47,32 mq circa); una nona era formata da 5 quinte (1 quinta = 9,46 mq circa).

La moneta in vigore all’epoca nel Regno di Napoli era il ducato che era formato da 5 tarì, da 10 carlini e da 100 grani. Il grano era a sua volta formato da 12 cavalli. 6 cavalli erano un tornese.

La misura di capacità per gli aridi era il tomolo, pari a 55,31 litri.

La misura di capacità per il vino era il barile, pari a 43,62 litri.

Principali abbreviazioni usate nel documento:

a. = anni /  an. = annuo, annui /  d. = ducati / D., D.a = don, donna. Era un titolo che si rendeva a persone di una qualche levatura sociale, oltre che ai sacerdoti /  Ecc.mo = Eccellentissimo / q.m = quondam o quandam, il fu, la fu (quando si parla di persone defunte) / Ill.e = illustre


([1]) Le amministrazioni comunali dell’epoca.

([2]) L’oncia era pari a sei ducati. Per le monete circolanti nel Regno di Napoli alla metà del Settecento si veda la parte finale di questa introduzione.

 

 

Ultimo aggiornamento: 01-06-04